Ferenc Török espande la portata del suo film collocandolo in un territorio tra l’intervento politico e la gelida e universale riflessione antropologica. Destini tragici per un’Europa che incessantemente rinnova steccati tra inclusi ed esclusi, in nome di una stabilità che spesso è solo sinonimo di egoismo e paura. Sorretto da una messinscena solida ed essenziale, appena compiaciuta nei preziosismi del bianco e nero e secondo linee drammaturgiche ben consolidate tra tòpoi letterari e convenzioni, 1945 mostra anche una spiccata capacità di lavorare su un racconto d’impianto corale, dove alla solitudine dei due ebrei si contrappone una massa inquieta e spaventata, per lo più da se stessa.

Massimiliano Schiavoni, quinlan.it

La fotografia di Elemér Ragályi è fredda, il percorso narrativo scorre inesorabile e puntuale lungo lo scandire delle lancette dell’orologio. 1945 è un film molto duro e, al tempo stesso, originale perché i “cattivi” non hanno fucili o uniformi, ma sono semplicemente persone comuni, che si sono arricchite sul sangue di altri.

Anastasia Mazzia, mondospettacolo.com

L’accusa di Török è puntuale e pungente… Ad una sceneggiatura lineare ed asciutta corrisponde una regia sempre attenta e silenziosa… Bellissima è la fotografia di Elemér Ragályi… “1945” è un film importante, necessario ed interessante: i “cattivi” non sono solo quelli che hanno il fucile ma anche chi, come gli abitanti del villaggio, hanno prima guardato inermi e poi hanno pensato solo al proprio vantaggio utilitaristico.

Anastasia Mazzia, hermovies.com

1945 riesce a calamitare un magnetico interesse da parte dello spettatore. Forse non tanto per quello che racconta ma per la maniera con la quale sceglie di mettere in scena questo dramma storico dalle atmosfere squisitamente western.

Letizia Rogolino, newscinema.it

1945 è un film in cui il discorso sull’Olocausto è fatto dal silenzio dei due protagonisti collaterali… drammatico ma con tracce di commedia nera, da cogliere sotto la superficie della gravità del racconto.

Alice Vivona, darumaview.it

Il regista, nel poetico bianco e nero, dipana il dramma del fine guerra in tutte le sfumature dell’anima. Le immagini nitide, la luce chiara, lo stile rapido, i silenzi parlanti, la novità dell’approccio, giustificano la serie di premi che il film ha ricevuto, fin da quando è apparso alla 67esima Berlinale.

Mario Dal Bello, cittanuova.it

Ragionare sulla depravazione morale di una comunità serve a Török per stendere una riflessione sulla storia della propria terra, spandendone l’utilità anche ai giorni nostri.

Alessio Morello, artwave.it

Ci sono stati talmente tanti film sull’Olocausto, che non pensavamo ce ne potessero essere ancora di originali, come lo è questo… Il regista Ferenc Török coglie abilmente questo momento spesso trascurato della storia e dal cinema, in cui le azioni di una piccola città diventano metafora del macabro fenomeno di arricchimento sulle spalle di milioni di morti.

Franco Baccarini, pressitalia.net

Il regista ungherese Ferenc Török disegna con fredda lucidità un periodo storico tragico per il suo paese, non ancora uscito dalla Seconda Guerra Mondiale ma in cui si percepivano già le prime avvisaglie della successiva dittatura.

Alessandro Caon, 2duerighe.com

È il ritratto di una società che cerca di venire a patti con gli orrori di una guerra, perpetrati o tollerati per il proprio guadagno personale. Una parabola sulle conseguenze del male e di una violenza che non si può dimenticare. (dal minuto 19.27 al minuto 21.12)

Anna Praderio, TG5 edizione del 19 aprile 2018