
“Ci serve un mondo nuovo, István.”
È il 12 agosto 1945, la seconda guerra mondiale volge al termine e trascina dietro di sé i rovinosi strascichi di un orrore ancora tutto da risolvere. Alle 11 in punto, presso la stazione ferroviaria di un piccolo villaggio rurale ungherese, due misteriosi stranieri vestiti di nero scendono dal treno. È il giorno delle nozze del figlio del vicario, Árpád, con una giovane contadina, Kisrózsi, e nel villaggio si percepisce una certa agitazione. All’ombra dell’occupazione delle truppe sovietiche, mentre fervono i preparativi per il matrimonio, i due uomini, due ebrei, probabilmente padre e figlio, scaricano da un vagone del treno due casse che recano l’etichetta “profumi”, le caricano su un carro e si incamminano verso il villaggio. Nel giro di poche ore tutto cambia. L’influente vicario del villaggio, István Szentes, comincia a sospettare che i due uomini possano essere gli eredi dei concittadini ebrei deportati dai nazisti e teme che questi possano essere tornati per reclamare i beni che gli abitanti della cittadina hanno acquisito illegalmente durante la guerra. La lenta e silenziosa marcia dei due sconosciuti genera in tutti gli abitanti un panico che rivela quanto la vita di ognuno di loro sia ancora drammaticamente legata alla tragedia della deportazione di cui si sono resi, più o meno direttamente, complici. Il dolente incedere dei due ebrei scandisce il tempo della storia, mentre segreti, colpe, rimorsi, violazioni e tradimenti del passato cominciano a riemergere nell’intreccio delle relazioni tra i personaggi.
Regia Ferenc Török
Soggetto basato sul racconto “Homecoming” di Gábor T. Szántó
Sceneggiatura Gábor T. Szántó e Ferenc Török
Fotografia Elemér Ragályi
Direzione artistica Dorka Kiss
Montaggio Béla Barsi,HSE
Musiche Tibor Szemzo
Suono Tamás Zányi,HAES
Produttori Iván Angelusz, Péter Reich, Ferenc Török
Distribuzione Mariposa Cinematografica & barz and hippo
István Szentes, notaio/ vicario Péter Rudolf
István Szentes, moglie del vicario Eszter Nagy-Kálózy
Árpád Szentes, figlio del vicario Bence Tasnádi
Jancsi Tamás Szabó KimmelKisrózsi, futura sposa Dóra Sztarenki
Andrásné Kustár Ági Szirtes
András Kustár József Szarvas
Hermann Sámuel Iván Angelusz
figlio di Hermann Sámuel Marcell Nagy
Állomásfönök, capostazione István Znamenák
József Iharos Sándor Terhes
Suba Mihály Miklós B. Székely
il figlio di Suba Mihály György Somhegyi
Rózsika Tünde Szalontay
sacerdote Béla Gados
Ufficio stampa: Carlo Dutto e Vania Amitrano
paese Ungheria
lingua Ungherese, Russo con sottotitoli in italiano
durata 91 minuti
formato bianco e nero - 2.00:1 Flat
supporti DCP, BluRay, Dvd
1945 è tratto da un racconto (Homecoming) dello scrittore ungherese Gábor T. Szántó, i cui saggi e racconti brevi sono stati tradotti in diverse lingue e inseriti nell’antologia americana Contemporary Jewish Writing in Hungary (Paperback, 2003). Il regista Ferenc Török, come già il suo connazionale László Nemes ne Il figlio di Saul (Oscar al miglior film straniero 2016), propone un approccio cinematografico raffinato e intelligente ad un drammatico periodo di transizione della storia del suo paese. Questo film, silenziosamente commovente e avvincente, ricorda anche un altro premio Oscar al miglior film straniero del 2015, Ida del regista polacco Paweł Pawlikowski, in cui i personaggi sono costretti a fare i conti con i gravi errori umani da loro stessi commessi durante la seconda guerra mondiale. Al tempo stesso la malinconia è bilanciata in 1945 attraverso la suspence crescente e la chiave di lieve humour che serpeggia nella stessa struttura narrativa. Attraverso lo stile cinematografico di Török i dettagli diventano eloquenti simboli narrativi. I suoni, la radio che annuncia le notizie, gli oggetti, le eleganti posate d’argento, i mobili semplici ma raffinati e la candida biancheria ricamata raccontano di un piccolo mondo fragile che si sforza di dimenticare il dolore del recente passato cercando di ricostruire un tempo e un’epoca ormai perduti. Il tempo e le azioni scorrono lenti e ritmati mentre la tensione sale fino a che tutti gli elementi si incontrano in unico crocevia, pronti ad esplodere. Il racconto dello scrittore ungherese Gábor T. Szántó, Homecoming, nelle mani di Ferenc Török diventa il ritratto articolato di una società che cerca di venire a patti con i recenti orrori della guerra, vissuti, perpetrati o semplicemente tollerati per il solo guadagno personale. Un cast artistico superbo, la vivida, elegante fotografia in bianco e nero di Elemér Ragályi (The door, 2012, Jakob il bugiardo, 1999, Il fantasma dell’opera, 1989) e la direzione artistica storicamente dettagliata di Dorka Kiss (Il figlio di Saul, 2015) esaltano il racconto di questo dramma eloquente. Altrettanto degna di nota è la colonna sonora di Tibor Szemzö (L’albero della vita, 2011), che con il suo ritmo malinconico a volte ricorda le antiche melodie ebraiche e contribuisce a sostenere e punteggiare l’inquietudine e la suspence crescenti che caratterizzano il film.
Nato a Budapest, in Ungheria, nel 1971, ha studiato regia cinematografica e televisiva presso l’Academy of Drama and Film di Budapest. I suoi Film sono stati proiettati in numerosi festival internazionali e hanno vinto diversi premi. È membro dell’European Film Academy dal 2007. Ha ricevuto il premio Béla Balázs dello Stato ungherese nel 2008 per i risultati eccezionali conseguiti nell’arte cinematografica e il Premio Pro Cultura Urbis della città di Budapest nel 2005.
Tranzit, 1999, regia e sceneggiatura
Eastern Sugar (Szezon), 2004, regia e sceneggiatura
Overnight, 2007, regia e sceneggiatura
Istambul (Isztambul), 2011, regia e sceneggiatura
No Man’s Island (Senki szigete), 2014, regia
1945, 2017, regia, sceneggiatura e produzione
Il film è ambientato nel 1945 in un piccolo villaggio ai piedi delle colline. Come hai scelto questo argomento?
Ho iniziato a interessarmi a questo argomento 10 anni fa, quando ho letto il racconto di Gábor T. Szántó. Mi interessava molto il periodo storico subito dopo la guerra e appena prima dell’introduzione della nazionalizzazione e del comunismo, quando per un momento c’è stato un accenno alla possibilità di una transizione democratica. Le cose avrebbero anche potuto prendere una piega migliore. Il fascismo era finito, ma il comunismo non era ancora iniziato; abbiamo cercato di catturare l’atmosfera di quei pochi anni in questo film.
Questo è un periodo della storia ungherese non particolarmente rappresentato né in letteratura né al cinema. Generalmente le persone si concentrano sulla seconda guerra mondiale o sulla dittatura degli anni ‘50. Io volevo presentare un quadro sociale che rappresentasse la vita in Ungheria subito dopo la guerra.
Come è nata la sceneggiatura?
La storia originale di Gábor T. Szántó è una novella di 10 pagine. Per prima cosa abbiamo sviluppato una drammaturgia simile alle tragedie greche, che sono costruite su unità di azione, tempo e luogo. Abbiamo creato nuovi personaggi e rafforzato il testo con dialoghi asciutti. Così il testo è diventato una sceneggiatura nel corso degli anni. Quello che mi piace di più del racconto è il modo in cui la trama, in un tempo relativamente breve - tre o quattro ore - presenta le situazioni in un modo molto visivo, senza dialogo, e simile a una ballata, che è decisamente ciò che volevamo mantenere. Ho sempre desiderato fare un film in tempo reale con i diversi punti di vista dei diversi personaggi, come in un film di Robert Altman. Mi sono ispirato anche alle strutture degli spaghetti western, come Mezzogiorno di fuoco, perché sono semplici e chiare.
Gli ideatori di solito sono collegati anche in modo personale ai loro argomenti. Qual è la tua storia?
Si tratta di un tragico periodo storico in cui tutti sono collegati in un modo o nell’altro. Tuttavia non ero guidato da una storia personale di famiglia; qui è tutta finzione, a differenza dei miei film precedenti. Direi piuttosto che il mio legame con la storia sta nel fatto che ne sono stato catturato. Il racconto di Szántó coglie una prospettiva della situazione storica completamente diversa rispetto a qualsiasi altra cosa che abbia mai letto prima. Penso al tema del nuovo inizio e a come la società deve superare il trauma, iniziare un nuovo viaggio, affrontare il passato e intraprendere una nuova vita.
Potresti parlarci un po’ delle riprese?
Abbiamo avuto un cast fantastico e riprese relativamente tranquille. È stata la prima volta che ho lavorato con Elemér Ragályi, il direttore della fotografia, che rispetto profondamente. Lo conosco personalmente già da un po’ e lo considero mio maestro. Gli ho chiesto di lavorare al film, tra le altre cose, anche perché ha vissuto tutto questo quando aveva cinque anni e viveva in un piccolo villaggio. Per lui è qualcosa di reale. Non ricorda solo che aspetto avesse un vecchio pallone da calcio, ad esempio, ma l’atmosfera che la gente viveva nell’Ungheria rurale di quegli anni. Tutto ruota intorno a quell’estate, quando la guerra finì. Siamo stati abituati a pensare che quella fosse la liberazione, la celebravamo perfino, il 4 aprile di ogni anno.
Come possono i giovani oggi, a 15-20 anni, connettersi con questo argomento attraverso il tuo film? Che tipo di accoglienza ti aspetti da loro?
Di solito dico che dovremmo fidarci dei giovani. ‘1945’ non riguarda necessariamente gli adolescenti, ma un pubblico più maturo e capace di un approccio più ricco di sfumature. Questi probabilmente sentiranno più empatia per il film. Al tempo stesso, penso che questo periodo storico sarà più facilmente comprensibile nel mio film che, diciamo, nell’asciuttezza dei libri di testo. Questo è un dramma che mette il pubblico a confronto con situazioni di vita reale. Sulla base degli inviti ai vari festival che ho ricevuto, spero che attirerà molte persone e che queste saranno toccate dal film. Confido nel fatto che gli Ungheresi e il pubblico internazionale siano abbastanza maturi per l’interpretazione critica di quel periodo. Questo momento storico non è stato ancora mostrato da questo punto di vista.
Scrittore e sceneggiatore, nato a Budapest nel 1966. Ha studiato legge e scienze politiche e si è laureato alla Eötvös Loránd University, Budapest. Ne 2003 ha partecipato allo Iowa International Writing Program Residency negli Stati Uniti. È il caporedattore del mensile ebraico ungherese Szombat. Si occupa Inoltre della ricerca e dell’insegnamento della Letteratura Moderna Ebraica.
I suoi scritti includono i romanzi Keleti pályaudvar, végállomás (Eastern Station, Last Stop, 2002), Édeshármas (Threesome, 2012) e Kafka macskái (Kafka’s Cats, 2014), oltre a volumi di racconti e novelle.
Gli scritti di Szántó sono stati pubblicati in tedesco, russo e inglese e a una pubblicazione di Kafka’s Cats in turco è attualmente in lavorazione.
Il suo racconto Hazatérés (Homecoming, 2004) ha ispirato il film 1945. Il racconto è stato pubblicato in tedesco (Heimkehr) nel periodico Wespennest 166/2014 e in russo nel suo volume Obratnij Bilet (Moscow, 2008). È stato anche tradotto in inglese e spagnolo.
«Szántó suggerisce che il peso della memoria calpesta le generazioni successive, abbassandole a un livello che impedisce loro di andare avanti o di vivere le loro vite. Finché non saremo in grado di parlare del passato, continueremo trasmettere le nostre paure generate da pensieri non elaborati.» (HVG, settimanale ungherese, 2004)
«Le situazioni e i dilemmi affrontati dagli eroi di Szántó hanno una grande somiglianza con quelli esplorati da Imre Kertész (...): come è stato possibile discutere di Auschwitz durante il regime di Kádár; come ha reagito la maggior parte della società ai sopravvissuti; in che modo la loro identità ebraica ha continuato e continua a essere vissuta dai sopravvissuti, dai loro figli e dai figli dei loro figli; quale tensione esisteva tra le esigenze morali del raccoglimento e della discussione e la necessità essenziale di dimenticare per andare avanti; e se la situazione si sia modificata o meno in misura significativa in Ungheria dopo il cambio di regime.» (Élet és Irodalom, settimanale ungherese, 2005)